L’Angolo del Vitigno ep. #1
Inizia da oggi, e con cadenza settimanale, un viaggio attraverso i vitigni d’Italia, in una carrellata attraverso la quale esploreremo la straordinaria varietà ampelografica italiana, da quelli più comuni, a quelli meno diffusi, dalla storia antica, e che talvolta hanno persino rischiato di scomparire per sempre, ma che qualcuno fortunatamente ha ripreso in mano, ricoltivato e salvato.
Ma prima di tutto bisogna definire che cosa sono i vitigni. Per vitigno si intende una varietà di vite. L’Italia, come forse molti sapranno, è il paese al mondo con la maggior varietà, per quanto riguarda il numero di vitigni coltivati. Secondo gli ultimi dati infatti (aggiornati al 2019), sono attualmente registrate 545 varietà di vite da vino e 182 varietà di vite da tavola. Accanto ai più noti e internazionali, come lo Chardonnay, il Cabernet Sauvignon, il Pinot Grigio, il Merlot, solo per citarne alcuni, esiste infatti tutto un gruppo di vitigni poco coltivati, che tuttavia accanto ai primi, permettono di esprimere in modo unico, attraverso i vini che se ne ottengono, la vocazione vitivinicola della singola zona o regione.
Perciò cominciamo subito questo straordinario viaggio attraverso la moltitudine di vitigni italiani.
Il primo di cui vorrei parlarvi è l’Aglianico, varietà a bacca rossa, una delle più antiche sul territorio italiano. Coltivato prevalentemente in Basilicata, Campania, Puglia, Abruzzo e Molise, è considerato tra i migliori, assieme a Sangiovese e Nebbiolo, anche grazie ai notevoli miglioramenti tecnici in fatto di vinificazione che si sono verificati negli scorsi decenni. Nonostante sia stato per molto tempo erroneamente derivato dalla parola ellanico, perché appunto considerato di origine greca, tuttavia alcuni recenti studi non hanno riscontrato alcun legame genetico tra di esso e le varietà elleniche. Negli ultimi anni è stato introdotto in California e Australia, dato che si sviluppa in climi prevalentemente soleggiati, e viene spesso definito il Barolo del Sud, per via di alcune caratteristiche in comune con il vitigno piemontese.
L’Aglianico si suddivide in tre principali biotipi, da cui originano tre grandi DOGC: Taurasi, Taburno e del Vulture, nomi che derivano dalle rispettive zone di origine, e delle quali sono espressioni del relativo biotipo e terroir. La vasta diffusione dell’Aglianico gli ha donato una grande adattabilità alle diverse zone di coltivazione e una variabilità delle sue caratteristiche in funzione dell’ambiente. Esso infatti predilige i terreni vulcanici, presenti nei territori in cui offre i migliori risultati. I vini prodotti con questo vitigno si prestano ad affinamenti in legno, sia in botte grande che in barrique. L’affinamento in legno tende a smussare il tannino dei vini giovani e addolcire il prodotto rendendolo fine ed armonico.
Andiamo a vedere ora qualche caratteristica dei tre diversi biotipi.
Il Taurasi possiede gli acini più piccoli ed è il meno vigoroso dei tre. La DOCG Taurasi, istituita nel 1993 (mentre la DOC risale al 1970), si estende fino a circa 500 m di altezza, laddove le forti escursioni termiche tra il giorno e la notte e la bassa piovosità generano aromi molto intensi, principalmente floreali, ad esempio di rosa rossa, ai vini che se ne ottengono. I terreni irpini inoltre sono ricchi in argilla (che trattenendo bene l’acqua, permette alle viti di resistere alla tipica siccità delle regioni del sud Italia, e produrre uve dalla giusta acidità), con una bassa/moderata percentuale di terreni calcarei e sabbiosi, che permettono di produrre vini caratterizzati da grande equilibrio nelle componenti alcoliche e fenoliche e profumi fini.
Il Taburno ha i grappoli più grandi e, tra i tre biotipi, matura per primo, e produce acini con i più alti livelli di zuccheri e acidi. La DOCG Taburno, istituita nel 2011, è la più fresca ed umida delle tre DOCG dell’Aglianico, per cui si riscontrano i più alti livelli di acidità, ed i vini che ne derivano presentano sfumature di cuoio e tabacco. In questa zona si produce l’Aglianico del Taburno DOCG come rosso fermo ed anche vino rosato come DOC. Questo biotipo predilige i terreni marnosi, ossia composti di rocce sedimentarie miste con diverse proporzioni di calcare ed argilla, nello specifico comprese tra il 35% ed il 65% di calcare.
L’Aglianico del Vulture si rivela il più fruttato ed il più concentrato in minerali. I caldi giorni estivi nella zona del Vulture conferiscono una maggior ricchezza in note di frutti scuri, ed i sentori floreali di violetta rappresentano un segno distintivo dell’aroma dei vini prodotti con questo biotipo. É l’unico vino della provincia di Potenza che ha ottenuto il marchio DOCG il 30 novembre del 2011 con il nuovo nome Aglianico del Vulture Superiore. Il vecchio Aglianico del Vulture resta come DOC, assieme al Terre dell’Alta Val d’Agri, che ha ottenuto la menzione il 18 febbraio del 1971. In Basilicata la presenza del vitigno è predominante nella zona del monte Vulture, un antico vulcano inattivo. Molti produttori della zona del Vulture coltivano insieme tutti questi tre biotipi, ed i numerosi cloni di Aglianico presenti dimostrano la grande importanza di questo vitigno. Sebbene sia stato classificato come biotipo, l’Aglianico del Vulture è ancora registrato come varietà a sé stante nel Registro Nazionale. Aglianicone o Aglianico di Napoli (anche detto Tronto) sono altre due varietà, diverse e da non confondere con quella del Vulture.
In campo, l’acino di Aglianico presenta una spesa buccia resistente alla botrytis, il che rappresenta un per quest’uva a maturazione molto tardiva. Infatti perché raggiunga la piena maturità ed ammorbidisca la sua elevata acidità e tannicità, è necessaria una lunga e lenta maturazione ed un autunno molto caldo. Cresce bene ad altitudini elevate (fino a 600-700 m) e predilige i ripidi pendii montuosi dove si esprime in un vino ricco e profondo, in cui l’affinità con i terreni vulcanici regala note affumicate e speziate.
Nel calice l’Aglianico, intensamente colorato, offre aromi floreali e sapidi con spiccata mineralità. I vini sono corposi, ben strutturati, con tannini importanti e una spiccata acidità. Molto spesso infatti hanno bisogno di un lungo invecchiamento per poter smussare le “spigolosità” innate di questo vitigno. Motivo per cui viene spesso tagliato con altre varietà locali, quali il Piedirosso in Campania, che aggiunge freschezza e aroma, il Primitivo in Puglia, che dona sentori fruttati ed accelera l’affinamento, ed il Montepulciano in Abruzzo e Molise.
In conclusione, l’Aglianico è una varietà di vite eccezionale che offre una gamma diversificata di vini di alta qualità. I tre principali biotipi – l’Aglianico del Vulture, l’Aglianico del Taburno e l’Aglianico di Taurasi – ciascuno con le sue caratteristiche uniche, rappresentano una testimonianza dell’incredibile potenziale di questo vitigno. Se non l’hai ancora fatto, esplora i vini di Aglianico e lasciati affascinare dalla loro complessità e bellezza. Cin cin!